26 febbraio 2007

Alcyone

O Marina di Pisa, quando folgora il solleone!Le lodolette cantan su le pratora di San Rossore e le cicale cantano su i platani d'Arno a tenzone. Come l'Estate porta l'oro in bocca, l'Arno porta il silenzio alla sua foce. Tutto il mattino per la dolce landa quinci è un cantare e quindi altro cantare; tace l'acqua tra l'una e l'altra voce. E l'Estate or si china da una banda or dall'altra si piega ad ascoltare. E' lento il fiume, il naviglio è veloce. La riva è pura come una ghirlanda. Tu ridi tuttavia cò raggi in bocca, come l'Estate a me, come l'Estate! Sopra di noi sono le vele bianche sopra di noi le vele immacolate. Il vento che le tocca tocca anche le tue palpebre un po' stanche,tocca anche le tue vene delicate; e un divino sopor ti persuade, fresco ne' cigli tuoi come rugiade in erbe all'albeggiare. S'inazzurra il tuo sangue come il mare. L'anima tua di pace s'inghirlanda. L'Arno porta il silenzio alla sua foce come l'Estate porta l'oro in bocca. Stormi d'augelli varcano la foce, poi tutte l'ali bagnano nel mare! Ogni passato mal nell'oblio cade. S'estingue ogni desio vano e feroce. Quel che ieri mi nocque, or non mi nuoce; quello che mi toccò, più non mi tocca. E' paga nel mio cuore ogni dimanda,come l'acqua tra l'una e l'altra voce. Così discendo al mare; così veleggio. E per la dolce landa quinci è un cantare e quindi altro cantare. Le lodolette cantan su le pratora di San Rossore e le cicale cantano su i platani d'Arno a tenzone.
(Gabriele D'Annunzio - La Tenzone - Marina di Pisa, 5 luglio 1899)
Bocca di donna mai mi fu di tanta soavità nell'amorosa via (se non la tua, se non la tua, presente) come la bocca pallida e silente del fiumicel che nasce in Falterona. Qual donna s'abbandona (se non tu, se non tu) sì dolcemente come questa placata correntía? Ella non canta, e pur fluisce quasi melodia all'amarezza. Qual sia la sua bellezza io non so dire, come colui che ode suoni dormendo e virtu di ignote entran nel suo dormire. Le saltano all'incontro i verdi flutti, schiumanti di baldanza,con la grazia dei giovini animali. In catena di putti non mise tanta gioia Donatello, fervendo il marmo sotto lo scalpello, quando ornava le bianche cattedrali. Sotto ghirlande di fiori e di frutti svolgeasi intorno ai pergami la danza infantile, ma non sì fiera danza come quest'una. V'è creatura alcuna che in tanta grazia viva ed in sì perfetta gioia, se non quella lodoletta che in aere si spazia? Forse l'anima mia, quando profonda sè nel suo canto e vede la sua gloria; forse l'anima tua, quando profonda sè nell'amore e perde la memoria degli inganni fugaci in che s'illuse ed anela con me l'alta vittoria. Forse conosceremo noi la piena felicità dell'onda libera e delle forti ali dischiuse e dell'inno selvaggio che si frena. Adora e attendi! Adora, adora, e attendi! Vedi? I tuoi piedi nudi lascian vestigi di luce, ed à tuoi occhi prodigi sorgon dall'acque. Vedi?Grandi calici sorgono dall'acque, di non so qual leggiere oro intessuti. Le nubi i monti i boschi i lidi l'acque trasparire per le corolle immani vedi, lontani e vani come in sogno paesi sconosciuti. Farfelle d'oro come le tue manivolando a coppia scoprono su l'acque con meraviglia i fiori grandi e strani,mentre tu fiuti l'odor salino. Fa un suo gioco divino l'Ora solare, mutevole e gioconda come la gola d'una colomba alzata per cantare. Sono le reti pensili. Talune pendon come bilance dalle antenne cui sostengono i ponti alti e protesi ove l'uom veglia a volgere la fune; altre pendono a prua dei palischermi trascorrendo il perenne specchio che le rifrange; e quando il solebatte a poppa i navigli, stando fermii remi, un gran fulgor le trasfigura:grandi calici sorgono dall'acque,gigli di foco.Fa un suo divino giocola giovine Ora che è breve come il canto della colomba. Godi l'incanto, anima nostra, e adora!
(Gabriele D'annunzio - Bocca d'Arno - Marina di Pisa, 6 luglio 1899)
Nostra spiaggia pisana, amor di nostro sangue, vita di sabbie e d'acque silvana e litorana, o ferma creatura nella qual si compiacque un'arte che non langue non trema e non s'offusca, terra lieve e robusta che lineata paredalla mano sicura del figulo onde nacque il purissimo vaso che vale e non corusca nè pesa, specie pura, l'orgoglio della mensa e della tomba etrusca, il fiore delle forme nel cielo senza occaso, or qual mai novo caso fece che dall'immensa Asia o dall'Africa usta sen venisse il deforme somiero a stampar l'orme su la tua levità divina e, come fa il giumento crinito dal tranquillo occhio amico dell'uomo, a someggiare con la sua gobba o nustale spoglie dell'augusta selva tra l'Arno e il Mare? Passano per la macchia,vanno verso la ripa,tra i mucchi di legname, tra i cumuli di stipa, i camelli gibbuti, carichi di fascine di ramaglia e di strame, sì gravi e tristi e muti! Sotto i lor piè distorti scricchiolano le pinearide, gli aghi morti. Ròtea la mulacchia nel cielo ingombro d'afa; e a quando a quando gracchia. Cola e odora la ragia. S'odono su le Lamedi Fuore le cavalle nitrire a quando a qiando; e più sottil nitrito e più tremulo s'ode rispondere e più fresco, dei puledri novelli. Passano per la macchia gravi e tristi i camelli. Non il lor Barbarescoli guida ma il bifolcotoscano, con l'anticavoce che i padri suoi usarono pel solco ad incitare i buoi tardi nella fatica.Vanno i callosi cuoi. Giungono alla radura per deporre i lor fasci. Ecco, subitamente ciascun par che s'accasci per esalare il fiato, per quivi infracidire. Si piegan su i ginocchi con un grido sommesso. Poi sbadigliano al sole. Appar la gialla chiostra dei denti aspri, il palato violaceo. S'ode salire nelle gole serpentine e lanose un gorgóglio intermesso. Treman le labbra molli e lacrimano i bruni occhi esanimi, gli specchi inerti dei deserti e dei palmeti. Vecchi sembran della vecchiezza del Mondo questi grandi esuli, oppressi e affranti da tutta la stanchezza che addolora la carne viva sopra la faccia della Terra discorde. S'alzano senza il peso. Lunghe dal fianco spoglio trascinano le corde giù per la traccia. E s'ode quel lor triste gorgóglio. Tali forse li vide in lor piagge natali, e n'ebbe orrore, il buono mercatante pisano che fu predato e tratto prigione dai corsali in paese lontano. Volle la mala sorte ch'egli incappasse in una fusta di Barbareschi, che armava ventidue remi per banda, forte e veloce a saetta. E per le mani ladre perse le robe sue,la cocca a vele quadre e la mercatanzia. E fu messo in ritorte. E schiavo in Barberia gran tempo si rimase. E macinava il grano a braccia, tratto tratto udendo il grido vano del camello percosso, triste sino alla morte. Poi tornò, per riscatto, a Pisa, alle sue case. E fecesi un palagionovo a specchio dell'Arno. Memore del malvagio servire, ALLA GIORNATA scrisse nell'architrave. E l'Arno era soave. (Gabriele D'Annunzio - I Camelli - Romena, 18 agosto 1902)

23 febbraio 2007

Viaggio a Francoforte


Con due mie compagne di viaggio ho deciso di visitare la famosa città sul Meno, la Manhattan d'Europa . Uno zaino sulle spalle e tanta curiosità mi hanno accompagnato in questa mia avventura, che dire? Quello che salta subito all'occhio è come Francoforte abbia la straordinaria capacità di accostare elementi molto contrastanti fra loro come imponenti grattaceli e case a traliccio ricostruite. Mi sono sempre paiciute le città di fiume, forse perchè mi ricordano la mia, e Francoforte con i suoi parchi, con i suoi ponti, ognuno diverso dall'altro, con i suoi musei e perchè no, con il suo sidro non mi ha per niente deluso.